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Lecce: per reggere l’urto, medici in prima linea

Dottor De Giorgi, qual è la situazione attuale?

Abbiamo avuto il vantaggio dell’esordio più tardivo del contagio rispetto al nord d’Italia e questo ci ha consentito di fare tesoro di alcune strategie operative, che poi abbiamo messo in atto. Tutto sommato, ritengo che la regione Puglia abbia dato prova di efficienza e che la provincia di Lecce, in particolare, abbia un’adeguata preparazione strutturale per affrontare un eventuale peggioramento dell’epidemia nel sud. Mi riferisco all’entrata in funzione, proprio oggi, del DEA (Dipartimento di Emergenza e Accettazione) del Presidio ospedaliero “V. Fazzi” di Lecce, trasformato in ospedale Covid. È dotato di 40 posti di degenza ordinaria (più 2 semintensiva) e 8 di rianimazione. È già attrezzato per ulteriori 8 posti di rianimazione e un ulteriore piano se l’epidemia dovesse allargarsi. Inoltre Copertino (post-Covid) può contare, forse da lunedì 23 marzo, su 15 posti, che potranno arrivare sino a 150, e su 4 di terapia intensiva. Inoltre sono già attivi San Cesario di Lecce (post-Covid) e Infettivi di Galatina con 30 posti letto.

Vi sono criticità?

Sì, due in particolare: sottoporre a tampone di ricerca Covid tutti gli operatori sanitari e dotare gli stessi operatori dei dispositivi di protezione individuali, in particolare le mascherine che, credo, siano un problema internazionale. La carenza è molto rilevante, ma diventa difficile dare una responsabilità specifica. Gli ospedalieri, i pediatri di libera scelta, i medici di medicina generale ne sono quasi completamente sprovvisti, ed è un fatto grave. Non a caso è stato necessario limitare la loro attività al consulto telefonico col paziente, indirizzato ad altre strutture come l’Ufficio di Igiene, il Pronto Soccorso o il Servizio 118 che, per giunta, hanno anche altri compiti. L’intero personale in Italia è veramente sotto pressione con turni massacranti, contagi e quarantene. La Regione e l’Asl di Lecce stanno facendo tutto il necessario.

Sull’impiego dei tamponi le opinioni sono discordanti. Chi non può farne a meno?

Riteniamo che tutto il personale sanitario debba essere testato, perché chi lavora in ospedale rientra certo in quel cosiddetto “contatto stretto”’, nel lavoro e col paziente, che da alcune parti si vorrebbe come condizione necessaria per il test. Il tampone consente soprattutto di individuare i portatori che non sanno di esserlo e non presentano sintomi eclatanti, ma consente anche all’ospedaliero di avere un rapporto sereno in famiglia. Quando torna a casa, dopo una giornata di lavoro duro, non può vivere con il timore di poter contagiare i propri familiari. Diciamo che sarebbe anche un beneficio psicologico. Si potrebbe positivizzare dopo 24 ore, è vero, ma almeno per i positivi si potrebbero adottare le misure adeguate. Per le mascherine si sta attivando anche il nostro Ordine.

 

Donato De Giorgi, primario chirurgo all’Ospedale di Copertino e di Gallipoli, dal 2017 è Presidente dell’Ordine dei Medici della Provincia di Lecce.

 

Si è parlato di estendere il tampone a tutta la popolazione italiana. Cosa ne pensa?

È il cosiddetto “modello Veneto” o “modello Corea del Sud”  (sperimentata a Seul, la tecnica prevede l’utilizzo massiccio e generalizzato dei tamponi, anche sugli asintomatici, N.d.R.), ma sarebbe un impegno economico e organizzativo enorme, non gestibile, anche in considerazione del fatto che andrebbe ripetuto ogni sette giorni. L’Organizzazione Mondiale della Sanità lo ha raccomandato per tutto il personale sanitario, in particolare gli ospedalieri e chi è in prima linea nel trattamento degli ammalati.

La quarantena è una misura sufficiente?

Gli infettivologi ritengono di sì. Chi è stato a contatto con un positivo deve isolarsi per due settimane, allo stesso modo se il contatto riguarda una persona per la quale si attende l’esito del tampone, che purtroppo può arrivare anche dopo 48 ore o più. Per un operatore sanitario, questo comporta l’allontanamento dal servizio. Tuttavia, se l’esito atteso è negativo, se il sanitario non ha sintomi e i due tamponi ai quali si è sottoposto a distanza di 24 ore risultano negativi, può tornare in servizio, in sicurezza.

Cosa si prevede in Puglia per i prossimi giorni?

Ci attendiamo un aumento dei casi di contagio, circa duemila, con ricoveri, persone intubate e decessi, e speriamo di essere smentiti. Però l’analisi dei dati ce lo fa purtroppo temere. Stiamo facendo di tutto per essere pronti: c’è l’ansia, ma non l’angoscia di non sapere cosa fare. I posti di degenza e quelli in rianimazione sono stati previsti per il peggio, per non avere brutte sorprese, ma ovviamente speriamo non servano tutti.

Il sistema sanitario appare in affanno specie in alcune aree. Si poteva evitare?

Stiamo affrontando qualcosa finora poco conosciuto. Tutti si sono dati da fare e si stanno dando da fare. Oggi capiamo l’importanza di preservare la nostra Sanità, di non intaccarla, di non ridimensionarla, com’è stato fatto purtroppo negli ultimi tempi, specie per considerazioni economiche. Per questo ci troviamo in situazioni drammatiche. Però l’intero territorio regionale sta offrendo risposte incoraggianti in un momento difficile, e Dio voglia che possiamo superarlo.

Quanto è importante restare a casa?

Non basta prepararsi, non basta realizzare ospedali-Covid, non basta aggiornarsi. Serve la grande sintonia con le istituzioni, che c’è già, ma è indispensabile soprattutto la collaborazione dei cittadini, che devono rimanere in casa e uscire solo per motivi strettamente necessari, perché è l’unico modo per superare questa drammatica emergenza. Non abbiamo nulla di più efficace per fare prevenzione.