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Cibo e clima nello Special Report IPCC

“Il territorio è una risorsa fondamentale per il pianeta. È sotto pressione da parte delle attività umane e dei cambiamenti climatici, ma è anche parte della soluzione. L’obiettivo di contenere la temperatura ben al di sotto dei 2°, previsto dall’Accordo sul Clima di Parigi, può essere raggiunto solamente riducendo le emissioni di gas a effetto serra prodotte da tutti i settori, compresi quelli che riguardano il territorio e il cibo”.

Può essere riassunto in queste parole il messaggio chiave del Rapporto speciale dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) dedicato all’uso del suolo (Rapporto Speciale IPCC sui Cambiamenti Climatici, Desertificazione, Degrado del suolo, Gestione Sostenibile del territorio, Sicurezza Alimentare e Flussi dei Gas ad Effetto Serra negli Ecosistemi Terrestri, Ginevra, agosto 2019).

Le attività umane interessano infatti circa il 70% del territorio terrestre libero da ghiacci. Ben il 37% di questo territorio è usato per allevamenti intensivi, il 22% per le foreste per uso di attività umane e il 12% per terreni coltivati.

Si stima che il 23% delle emissioni di gas serra prodotte da attività umane derivino da agricoltura, silvicoltura e altri usi del suolo.

Cibo, territorio e cambiamenti climatici

Produzione e consumo di cibo sono quindi sotto la lente di osservazione. Dal 1960 il consumo di calorie pro capite è aumentato di circa un terzo, il consumo di carne è raddoppiato. L’uso di fertilizzanti chimici è aumentato di nove volte. Allo stesso tempo, lo spreco alimentare pro capite, cioè il cibo acquistato che non viene consumato ma buttato da ciascuno di noi, è aumentato del 40% e corrisponde attualmente al 25-30% del cibo prodotto, che contribuisce all’8-10% delle emissioni di gas serra del sistema alimentare.

Kathmandu, Nepal: Un bambino e i suoi parenti alla ricerca di cibo in una discarica di rifiuti (ph. © dimaberkut/123RF.COM).
Il mondo che soffre di fame, il mondo che soffre di obesità

Che fare allora? Il cambiamento delle abitudini alimentari verso diete più sane, la riduzione degli sprechi e delle perdite alimentari contribuiscono drasticamente alla riduzione delle emissioni di gas serra.

Un dato su tutti: a livello mondiale, attualmente 821 milioni di persone sono denutrite (una persona su 10), mentre 2 miliardi sono invece affette da obesità (2,5 persone su 10). Cambiare abitudini alimentari non solo aiuta il clima ma permette anche di ridurre la pressione sulle risorse, contribuendo allo sradicamento della povertà e al miglioramento delle condizioni di salute e igiene. Ed è una questione di giustizia.

Il paradosso è che territori, agricoltura e foreste subiscono inoltre le conseguenze dei cambiamenti climatici innescati in parte dalla loro cattiva gestione e dallo sfruttamento antropico. In futuro questi impatti possono variare significativamente da una regione all’altra. Si prevede ad esempio che i raccolti diminuiranno con l’aumento delle temperature, soprattutto nelle regioni tropicali e semi-tropicali. Molto probabilmente l’aridità aumenterà in alcune zone dell’Asia meridionale centrale e orientale, e dell’Africa occidentale, dove risiede circa la metà delle popolazioni più vulnerabili, con gravi rischi per la sicurezza alimentare e conseguente aumento dei fenomeni migratori.

Gli effetti dipenderanno principalmente dall’aumento dei prezzi dei prodotti alimentari e dalla riduzione dei terreni disponibili per la produzione agricola di sussistenza.

Si rende necessario quindi mettere in campo adeguate azioni di adattamento, ad iniziare dalla protezione delle foreste e dalla riduzione del degrado forestale, da un uso efficiente delle risorse, amplificando la resilienza sociale, il restauro ecologico e l’impegno sul territorio delle parti interessate. In questa direzione assumeranno un ruolo strategico le popolazioni locali e la loro partecipazione alle scelte da intraprendere. Le comunità indigene in particolare avranno molto da insegnare.

Dobbiamo imparare ad ascoltarle.