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Alzheimer, dalla diagnosi precoce alle terapie del futuro

L’Alzheimer è una malattia neurodegenerativa caratterizzata dall’accumulo patologico di proteina βeta-Amiloide extracellulare sotto forma di placche e dall’accumulo intracellulare di proteine Tau-iperfosforilate in forma di grovigli neurofibrillari, con conseguente innesco di processi più complessi che conducono a neurodegenerazione.

In questa malattia si realizza, pertanto, una progressiva perdita neuronale e atrofia della corteccia cerebrale prevalentemente nei lobi temporali e nelle sedi ippocampali, con conseguente perdita delle facoltà cognitive, in particolare della memoria, dell’orientamento nel tempo e nello spazio, della capacità di ragionamento fino a un coinvolgimento diffuso delle funzioni corticali e alla perdita completa dell’autonomia personale nelle fasi più avanzate della malattia.

Sono descritte presentazioni atipiche della malattia di Alzheimer con prevalenti alterazioni del comportamento, della produzione del linguaggio, della programmazione delle azioni e delle funzioni visuospaziali.

L’Alzheimer rappresenta la prima causa di demenza degenerativa oltre i 65 anni e, in relazione all’aumento della sopravvivenza media della popolazione generale, si prevede che il numero di nuovi casi-anno di questa patologia sia destinato ad aumentare esponenzialmente nei prossimi decenni. Si stima che più di 5 milioni di persone siano attualmente affette dalla malattia di Alzheimer negli Stati Uniti, e circa 7 milioni in Europa, di cui almeno 600mila nel nostro Paese.

Fattori di rischio

L’età è il principale fattore di rischio per malattie, come l’Alzheimer, correlate all’invecchiamento, unitamente ad una serie di fattori di rischio vascolare quali il diabete, l’ipertensione arteriosa, le dislipidemie, l’obesità, che possono contribuire al danno cerebrale e coadiuvare i processi di invecchiamento cerebrale. Pertanto, uno stile di vita corretto (alimentazione ricca in vitamine e polifenoli e povera in acidi grassi saturi, attività fisica regolare) e la correzione dei fattori di rischio vascolare sono considerati fattori in grado di contribuire alla prevenzione dell’invecchiamento cerebrale.

Ad oggi, non esiste alcun trattamento farmacologico in grado di modificare la storia naturale della malattia. I farmaci esistenti sono per lo più sintomatici, perché contribuiscono solo a rallentare, in modo lieve, la neurodegenerazione.

Un trattamento adeguato dei sintomi cognitivi può prolungare l’indipendenza funzionale, ritardare l’istituzionalizzazione e migliorare la qualità della vita. L’ultimo farmaco approvato per la cura della malattia di Alzheimer dalla Food and Drug Administration (organo istituzionale statunitense responsabile del controllo della salute pubblica) è la memantina, nel 2003.

Tuttavia, vi è un elevatissimo numero di Trials farmacologici volti all’identificazione di nuove terapie per la malattia, per lo più aventi come target l’accumulo di βeta-Amiloide a livello cerebrale. Gran parte di tali Trials non ha prodotto risultati incoraggianti, perché condotti in soggetti in fase più avanzata di malattia o in persone in cui non era stata accertata la presenza della βeta-Amiloide cerebrale (tramite il dosaggio dei biomarcatori dell’invecchiamento nel liquor e/o esecuzione di una PET cerebrale con tracciante per amiloide).

Secondo l’Osservatorio Demenze dell’Istituto Superiore di Sanità, il numero di casi di demenza in Europa aumenterà dai 7,7 milioni del 2001 a 15,9 milioni nel 2040. Attualmente in Italia la prevalenza stimata della demenza è pari a circa un milione di casi.
Il trial dell’Ospedale Panico di Tricase

Dal Trial dell’Aducanumab (anticorpo monoclonale contro la βeta-Amiloide in fase III di sperimentazione), condotto dall’ottobre 2016 a marzo 2019 nel Centro Trials dell’U.O. Malattie Neurodegenerative presso l’Ospedale “Card. G. Panico” di Tricase, sono emersi risultati positivi in termini di rallentamento del declino cognitivo e di riduzione del carico lesionale di βeta-Amiloide in soggetti affetti da Alzheimer in fase iniziale, pertanto a novembre 2019, l’azienda farmaceutica produttrice ha richiesto alla Food and Drug Administration di approvare l’Aducanumab come terapia per la Malattia di Alzheimer.

La lunga fase pre-clinica della malattia di Alzheimer potrebbe fornire, se fossimo in grado di individuare il link tra i processi causali e l’esordio della sindrome clinica, una significativa opportunità per il potenziale intervento con terapie in grado di modificare il corso della patologia.

Di recente, i ricercatori dell’European Brain Research “Rita Levi Montalcini”, in collaborazione con Consiglio Nazionale delle Ricerche di Roma, hanno dimostrato che un anticorpo anti-βeta-Amiloide (A13) è in grado di interferire selettivamente con la deposizione di tale proteina a livello intracellulare nelle fasi presintomatiche della malattia e pertanto potrebbe essere bersaglio di terapie causali.

Pertanto, gli attuali e futuri Trials farmacologici saranno disegnati per includere pazienti in fase pre-clinica della Malattia di Alzheimer, ovvero prima dell’esordio dei sintomi o comunque nelle fasi molto iniziali della malattia.

Emergono quindi in tutta la loro importanza la prevenzione e la ricerca di una diagnosi clinica il più precoce possibile, al fine di poter attuare strategie terapeutiche già disponibili e, soprattutto, avere la possibilità di essere arruolati in sperimentazioni cliniche con i farmaci del futuro nei centri di riferimento per la cura delle malattie neurodegenerative.